giovedì , 25 Aprile 2024

L’Università Popolare della Terza Età ricorda le Foibe

All’appuntamento, svoltosi presso la sala Polifunzionale di Palazzo Baldoni a Montesilvano, hanno partecipato decine di iscritti, commossi dalla visione di un documentario sulle foibe e dalle parole di Mario Diracca e Giuliano Lenaz, protagonisti di una delle pagine più drammatiche del nostro Paese.

“Fra il 1943 e il 1947 – ha proseguito Mario Diracca – migliaia di italiani vivi e morti vennero buttati nelle voragini carsiche dell’Istria chiamate foibe. La prima ondata di violenza si registra all’indomani della firma dell’armistizio (8 settembre del ’43). Nel 1945 si acuisce ancora di più con le truppe del maresciallo Tito che si accaniscono contro gli italiani. Per molti decenni la classe politica e la storiografia sono rimaste in silenzio davanti a tale massacro.
Solo nel 2004 il Parlamento italiano decide di dedicare il 10 febbraio al ricordo delle migliaia di vittime delle foibe. Inizia così l’elaborazione di una delle pagine più angoscianti della nostra storia che non dobbiamo assolutamente dimenticare”.

“Il nostro compito – ha aggiunto il presidente dell’Università Popolare della Terza Età Giuseppe Tini – non è solo di ricordare. Abbiamo il dovere morale e civile di far conoscere ai giovani la storia del nostro Paese fatto purtroppo anche di vicende tragiche come quelle delle foibe. All’incontro di ieri seguiranno altre iniziative per discutere di questo pezzo di storia. Inoltre il 3, 4 e 5 novembre visiteremo i luoghi della memoria di Trieste e Fiume”.

Alla fine dell’incontro Giuliano Lenaz, membro del Direttivo dell’Università Popolare della Terza Età ha ricordato la fuga dalla sua città natale: Fiume.

“La mia storia – ha detto – è simile a quella di moltissime persone costrette a lasciare la propria città natale per scappare dall’orrore e dalla violenza. All’epoca avevo 7 anni, ero un bambino che non comprendeva fino in fondo ciò che stava accadendo, ma i miei genitori e i miei tre fratelli si. In un istante avevamo perso la nostra identità, venivamo additati come profughi, umiliati e costretti a dividere enormi stanzoni con persone nella nostra stessa situazione.
L’Abruzzo, dopo dodici mesi di peregrinazioni, ci accolto, ridonandoci la serenità e parte dell’identità perduta. Il ricordo di una simile tragedia non deve morire con noi, i giovani devono sapere e conoscere. Tacere la verità significa essere complici di quel massacro”.

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