venerdì , 19 Aprile 2024

Gino Berardi: quando Agnelli esclamò “Gino! Che ci fai tu qui?”

Sostanzialmente quello che avremmo dovuto raccontare è già nel cappello introduttivo, sarebbe bastato infiorettare l’articolo elencando qualche esposizione precedente, virgolettare qualche recensione critica e tutto sarebbe stato pubblicato velocemente.
Ma non è stato così.

L’incontro con Berardi è avvenuto nell’accogliente studio dell’artista, immersi tra i colori delle sue tele nella luce di un freddo pomeriggio di febbraio. Superati i convenevoli è iniziata una chiacchierata che ci aspettavamo sicuramente diversa.

Dopo qualche tentativo di ricondurre l’intervista sul tema dell’arte, sui rapporti con la critica, i periodi del suo lavoro, alla fine ci siamo dolcemente arresi ad andare fuori traccia ascoltando il racconto di una splendida vita, quella di Gino dove tele e pennelli chiusi in una valigia sapevano aspettare, con la pazienza degli strumenti che al momento giusto avrebbero saputo convogliare tutta l’energia necessaria ad esprimere quelle emozioni vissute.

Ha sempre disegnato Berardi, ricorda che da bambino il suo maestro elementare per tenerlo buono gli dava dei gessetti colorati, “mai visti prima, ero abituato a disegnare col pennino, con la matita, quei gessetti invece restituivano il colore sulla lavagna, una magia”, fu lo stesso maestro a raccontare quella storia dei suoi primi approcci al colore fatti di paesaggi campestri, pecore all’abbeveratoio, donne che trasportavano acqua e che sulla lavagna prendevano forma e vita grazie a quello studente capace.

Il maestro lo raccontò al curatore di una mostra locale riconoscendo un quadro del suo alunno, di quel racconto ne rimase una traccia perché un giornalista presente ne fu incuriosito e lo trascrisse nell’articolo poi pubblicato su un quotidiano.

“Erano anni difficili, mi trovavo a pascolare le pecore all’alba e a dover partire dal paese per poter frequentare l’istituto agrario, nel tempo libero però continuavo a dipingere” racconta Berardi, raggiunto il diploma trovò lavoro nel settore alberghiero “il lavoro più bello del mondo”, al giovane Berardi si aprì un mondo di opportunità, diventava sempre più bravo lavorando negli alberghi da tre, poi quattro, cinque stelle e il rapporto con i clienti era sempre cordiale, molti erano incuriositi da lui e Berardi nella lontana Lugano non mancava mai di affascinarli con le storie del suo Abruzzo, raccontando dei colori, descrivendone paesaggi e profumi “quando poi sapevano che dipingevo alcuni volevano vedere a tutti i costi i miei lavori, ma ero restio non potevo portare le tavole sul luogo di lavoro, e così davanti all’insistenza spesso mi trovavo a mostrarli di nascosto in un bar o in una piazza, tanti poi compravano qualcosa e per me era sempre un problema poter attribuire un prezzo, ma erano oltremodo generosi, forse le mie pitture piacevano davvero ” il suo studio portatitile era fatto di una valigia di cartone dove teneva pennelli e colori e per poter trasportare tutto senza danneggiare i dipinti in vece della tela, usava ritagli di falegnameria “il piccolo formato dei miei primi lavori era più una necessità che una volontà”.

Negli alberghi lussuosi dove lavorava sostavano i personaggi più importanti e col tempo con molti di loro si erano creati legami di stima reciproca, cantanti famosissime, generali, magnati, artisti, industriali un mondo rutilante che si fidava di Gino e a lui chiedeva consigli.

Tra i frequentatori dell’Hotel dove lavorava Berardi vi era anche Gianni Agnelli “cortesissimo, un vero gentelman” anche lui negli anni imparò a conoscere ed apprezzare il lavoro di Berardi, “un giorno alla fine della stagione turistica alla sua partenza ci salutammo come di consueto, -al prossimo anno- mi disse ma gli risposi che non sarebbe stato possibile incontrarlo nuovamente perché tornavo in Abruzzo, c’erano nuove opportunità di lavoro con i grandi alberghi a Montesilvano” Agnelli non voleva perdere quella preziosa e discreta figura e arrivò ad offrirgli un posto di responsabilità in un suo hotel a Milano, ma Berardi rifiutò, aveva un figlio piccolo in Abruzzo e voleva essere un padre presente, in ogni caso il grande industriale giocò l’ultima carta per non perdere l’amico, gli porse un bigliettino “chiamami per qualsiasi necessità, ti risponderà la mia segretaria”.

In Abruzzo a Montesilvano i grandi alberghi lavoravano a gran ritmo, erano anni di respiro internazionale per il turismo, venivano da tutta Europa e la stagione estiva iniziava ad Aprile con frotte di tedeschi al mare, si chiudeva ad ottobre con l’eco di una babele infinita di stranieri e lingue transitate sulla nostra costa.

Fu in quel periodo che nel corso di un ricevimento, nell’albergo dove lavorava, Berardi fu notato per le sue qualità da un professionista della ristorazione “era il preside dell’Istituto alberghiero di Pescara, mi si avvicinò e lodandomi mi disse che gli sarebbe piaciuto avermi come docente nella sua scuola” ma era necessario conseguire il diploma alberghiero, senza pedersi d’animo il nostro si buttò a capofitto nello studio per poter conseguire da privatista quel foglio necessario.

La clientela dell’albergo ospitava in quegli anni un famosissimo generale che con Gino aveva stretto un solido legame di amicizia, “era affascinato dalla mia storia di self made man, …quando poi gli raccontavo la storia del pastorello che alla mattina lasciava il gregge per poter correre a scuola la sua stima cresceva a dismisura”.

Fu proprio quando il generale era ospite in albergo che Gino dovette correre a Riccione per sostenere gli esami da privatista, lo rivelò all’amico il quale si figurò di non poterlo incontrare il giorno successivo.

“Feci una corsa pazzesca, partii alle cinque del mattino per Riccione, sostenni l’esame e ripartii per poter essere in albergo a mezzogiorno, avevo l’hotel pieno e ne avvertivo tutta la responsabilità”.

Sorpreso di aver incontrato in sala per l’ora di pranzo Berardi, il generale non credette alla storia dell’esame. Questo si ripetè anche quando dovette sostenere gli orali.

“Non voleva credermi, ma il tempo è galantuomo, aspettai l’esito e mi feci spedire il diploma sostitutivo perché mi serviva per poter insegnare, ma feci anche una copia che lasciai all’indomani sotto il piatto del generale”. Inutile dire la sopresa dell’ufficiale che entusiasmato dalle doti di Gino lo propose per un’onorificenza a sua insaputa. Oggi Berardi è Commendatore della Repubblica un titolo fortemente voluto da quel generale innamorato dell’Abruzzo e affascinato da uomini come Berardi.

L’economia in Abruzzo in quegli anni era in pieno sviluppo e in Val Di Sangro la Fiat aprì con un nuovo stabilimento, per l’inaugurazione fu coinvolto l’istituto Alberghiero di Pescara dove Berardi oramai insegnava da tempo “dovevamo preparare un immenso ricevimento per operai e personalità che sarebbero state presenti” tra quelle personalità l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini e Gianni Agnelli.

“Negli anni avevo sempre raccontato di quella mia amicizia con Agnelli ma era una personalità talmente celebre che forse erano stati in pochi a credermi”, arrivò il momento di dover servire gli aperitivi e supportato da uno studente Gino iniziò a servire i cocktail “per Pertini una grappa”, quando si avvicinò a Mister Fiat, Agnelli che non aveva fatto caso a chi stesse servendo loro i drink rimase di stucco e allungando il collo disse “Gino! Che ci fai tu qui?”.

Il protocollo non prevedeva risposte e Berardi non fiatò tornando al suo posto, ma gli studenti ravveduti festeggiarono quell’insegnante che aveva raccontato storie improbabili poi dimostrando quanto fossero vere.

E quel bigliettino? Quel bigliettino che Agnelli lasciò a Berardi, utile per qualsiasi cosa gli fosse stata necessaria?

“A fine stagione ero più libero e stavo cercando un secondo impiego, c’era una multinazionale americana che cercava venditori per una famosa enciclopedia per i ragazzi, ma erano americani ed erano necessarie due lettere con le referenze”.
Per Berardi quella dell’albergo di Montesilvano era semplice da reperire però avrebbe preferito evitare dopo tanti anni dover scrivere all’albergo in svizzera per chiedere una lettera di presentazione, “mi ricordai del bigliettino di Agnelli e dissi al selezionatore se sarebbe stata valida per loro una lettera del proprietario della Fiat” naturalmente non fu creduto in un primo tempo, ma quando raccontò la storia di quella strana amicizia non fu più necessaria alcuna lettera e il giorno dopo iniziò a vendere enciclopedie…

Ma l’arte le mostre i quadri? “Quelli sono sempre stati in parallelo, negli anni ho sempre dipinto e se non avessi avuto tutti questi incontri non dipingerei così” questa sorta di Big Fish di adozione montesilvanese riesce a raccontarti tutta la sua vita ma come tutti i grandi diventa timidissimo quando deve parlare della sua arte, quella rientra nella sua sfera intima, non ci sono domande da fare.

A far comprendere Berardi pittore dopo le sue mirabolanti storie ci sono i suoi dripping, le pennellate materiche e generose, la tavolozza ricca di tutte le cromie della storia di un abruzzese caparbio innamorato dell’arte.

Un arte dalla storia antica, scoperta tempo fa in quei gessetti colorati regalati da un maestro di campagna.

Al suo attivo Berardi ha una lista infinita di recensioni delle firme più prestigiose (Levi, Prezzolini, Brindisi…) altrettanto lunga è la lista delle esposizioni personali tenute dal 1977 a oggi in italia e all’estero (Miami, New York, Berlino, Londra…), le sue opere sono presenti in collezioni private e musei prestigiosi oltre che in innumerevoli cataloghi.

L’ultima sua personale -Ieri e oggi- è stata ospitata presso il MuMi di Francavilla “E’ stato un’onore per me essere accolto in un museo così prestigioso “ ha dichiarato l’artista erano ben 28 le opere esposte e sono state il racconto della sua vita artistica che ha visto un primo periodo impressionista approdato col tempo ad un’astrazione del segno riconducibile all’informale.
“Sono stato davvero felice per quanti tra colleghi artisti e appassionati dell’arte hanno voluto onorarmi della loro presenza, la sala all’inaugurazione era gremitissima ed ero davvero emozionato” ha commentato Berardi .
La personale ha visto la presenza dei critici d’arte Massimo Pasqualone e Anna Rita Melagragna ed’è proprio la Melagragna che ne ha tessuto le lodi con una bella pagina critica che qui riproponiamo.

“Gino Berardi artista la cui sua produzione riconosciuta a carattere nazionale e internazionale, Protagonista di una personale al MuMi di Francavilla al Mare, noto e prestigioso museo, esporre in una simile realtà è segno di una tangibile bravura.

Vorrei accompagnarvi in tale immagine, l’artista con grande umltà invita i presenti in una passeggiata in punta di piedi nei giardini del suo animo, regalando così attimi di puro piacere.

Nasce come impressionista dove con tratti soavi riesce a restituire e dar corpo ad un naturale presente ad un innaturale vissuto avvolto nel misticismo che solo un’animo sensibile e predisposto all’esseremutevole della società può cogliere può carpire, ma interessante è il suo arduo e complesso allontanarsi da ciò che il mercato richiede da pionere temerario verso un astrattismo un informale tangibile è lo studio che tende verso una perfezione nell’apparente indefinibile una ricerca prettamente mirata allla restituzione di un messaggio di un vissuto di un la, dove denuncia fatta solo ed unicamente attraverso l’armonia del pigmento e di un simbolismo ricorrente quasi ad identificarsi elementi che lo contraddistinguono dalla massa.

Una sfida mirata a sottolineare che l’emozione non risiede solo nel definito ma vive anche nell’indefinito e in ciò che più di profondo l’animodi quell’attimo, di un quotidiano di un vissuto sempre comunitari odove maggiori sono le relazioni regalando suggestive emozioni.

Non Meno interessante e direi lodevole per un artista la continua messa in discussione dell’operato, la genialità creativa risiede in quell’insoddisfazione figlia del mai finito, l’autentica posta come atto di nascita di una propria creatura, ma mai vista intermine di fine.

Un attento osservatore della parte più profonda e dinamica della società sia essa natura sia essa animo. Dinnanzi a una tela bisogna spogliarsi di ogni razionalità e lasciarsi emozionare, l’arte non va capita va sentita come proprio vissuto come una parte di se.

Il Maestro Gino Berardi riesce in questo a far si che ogni fruitore possa ritrovarsi in quel vissuto, possa sentirsi parte di quella società dove sempre più domina una solitudine di massa.
Berardi un vincente, lo stratega delle relazioni, abile comunicatore in una gestualità primordiale insita nell’essere stesso. -Un insolito canto dal variopinto piumato sveglia il sonno di un animo confuso, lo cattura lo allieta lo rende aeriforme impercettibile al tatto ma tangibile al cuore-”.

Annarita Melagragna

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