mercoledì , 8 Maggio 2024

Referendum, il PD di Montesilvano invita a votare per il SÌ

Montesilvano – A poco meno di una settimana dal referendum sul tema delle trivellazioni, il Partito Democratico di Montesilvano, ha elaborato un documento politico a firma della segretaria, Romina Di Costanzo, condiviso con la Direzione cittadina del suo partito, tenutasi ieri. Un invito a votare Sì per cogliere, si legge nel documento che riportiamo integralmente, “l’occasione per lanciare un messaggio di un nuovo modello di sviluppo per il Paese, in difesa del nostro mare, del nostro turismo, della nostra salute e soprattutto per ripristinare l’interesse di tutti contro i vantaggi economici per pochi”.

Nel sottolineare che comunque il governo nazionale ha introdotto una serie di norme nella legge di Stabilità che hanno messo mano alla materia, ribadendo il divieto di trivellazioni entro le 12 miglia marine, sul sesto quesito referendario rimasto in piedi e ammesso dalla Cassazione, la Direzione cittadina, in controtendenza con le indicazioni nazionali, ha condiviso l’indicazione della segreteria a votare Sì al referendum del 17 aprile.

 

Il documento integrale

Un grande Partito, quale quello Democratico, leader della sinistra europea, non può isolarsi in una dimensione sorda su temi come l’ambiente e la politica energetica nazionale, tenendo fuori dalla discussione la sua base e il Paese intero. Il PD deve saper interpretare la modernità, la green economy, l’innovazione, la democrazia e il principio di uguaglianza, senza agevolare interessi particolari e soprattutto tenendo conto degli interessi dei cittadini e dei territori, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile complessivo.
E’ opportuno sfatare alcune interpretazioni faziose assunte a verità assiomatiche di quelli che approfittando della complessità delle norme, sostengono che se si raggiungesse il quorum con una maggioranza di Sì non può tornare la vecchia norma, perché abrogata. In realtà in questo caso tornerebbe in vigore la Legge 9/1991, che non ha mai messo a rischio i posti di lavoro o il pieno sfruttamento del giacimento. La Legge 9/1991 – Articolo 9. (Concessione di coltivazione. Disposizioni generali), comma 8 infatti recita ‘Al fine di completare lo sfruttamento del giacimento, decorsi i sette anni dal rilascio della proroga decennale, al concessionario possono essere concesse, oltre alla proroga prevista dall’articolo 29 della legge 21 luglio 1967, n. 613, una o più proroghe, di cinque anni ciascuna se ha eseguito i programmi di coltivazione e di ricerca e se ha adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dalla concessione o dalle proroghe’.
L’emendamento oggetto di Referendum non è abrogativo della precedente normativa, in quanto costituisce solo una deroga alla disciplina ordinaria di cui alla legge 9/1991. L’emendamento ha natura di legge-provvedimento che, in deroga alla normativa di cui alla legge del ’91, proroga “sine die” la durata delle concessioni già rilasciate entro le 12 miglia. Eliminato l’emendamento con il Referendum ritornerebbe la piena applicabilità della legge del 91. Questo sistema prevedeva processi di verifica e controllo assai migliori dll’attuale normativa (Sblocca Italia) che invece dà pieni poteri al concessionario fino a fine vita del giacimento, senza limite alcuno.
Infatti, senza che vi sia alcuna esigenza strategica,con la legge di Stabilità le proroghe sono state rese “eterne”, senza termine, e soprattutto senza i controlli pubblici previsti dalla precedente legge. Votare SI al referendum è l’unico modo per ripristinare termini e controlli nell’interesse pubblico.
Il tutto in contrasto con la normativa europea e la direttiva offshore. Lo stesso Governo nella legge di stabilità ha vietato di costruire nuove piattaforme per “gravi danni ambientali”. Una legge per il futuro quindi c’è già, perché allora, in maniera affatto coerente, non deve essere applicata anche al presente?
Semmai sarebbe il caso di dare l’esempio e garantirne l’efficacia, allargare l’orizzonte water front chiudendo il mare nostrum alle trivellazioni da ambo i lati.
E’ fondamentale che la fase finale dello sfruttamento dei pozzi petroliferi sia controllata, come era stata controllata dalla legge precedentemente in vigore, che non aveva creato nessun problema né comportato alcun licenziamento. Una legge che peraltro consente un controllo da parte delle nostre regioni nell’interloquire col governo sulle modalità di prosecuzione dell’attività o meno di un pozzo.
Attualmente, la legge non consente che entro le 12 miglia marine siano rilasciate nuove concessioni, ma non impedisce, invece, che a partire dalle concessioni già rilasciate siano installate nuove piattaforme e perforati nuovi pozzi.
Se passasse il Sì, a scadere delle concessioni verranno bloccati diversi investimenti, tra i quali spiccano tre grandi giacimenti già attivi per i quali sono allo studio i potenziamenti, per la nostra regione il giacimento Gospo Edison e la realizzazione di 4 pozzi.
Anziché preoccuparci di petrol-lavoro, dovremmo, seguendo il trend planetario, intensificare l’occupazione verso la green economy.
La crescente produzione di energia da fonti rinnovabili nel periodo 2010/2014 è stata sostenuta anche dagli incentivi statali, come quelli erogati fino al 2013 per il fotovoltaico. Tuttavia, l’utilizzo delle fonti rinnovabili permette però di produrre solo una parte dell’energia necessaria al paese, mentre il resto è ancora prodotto con fonti tradizionali quali gli idrocarburi. Sommando l’energia prodotta attraverso le due tipologie di fonti l’Italia tuttavia non riesce però ancora a coprire il suo fabbisogno energetico. Un fabbisogno che varia in base al territorio nazionale. In Abruzzo, ad esempio il fabbisogno è di 6510, 3 Gwh, la produzione 4471,9 Gwh con un delta negativo di – 31,3% (fonte dati Terna 2014). Tra l’altro secondo la relazione annuale 2015 dell’Unione Petrolieri, la produzione del greggio nazionale rappresenta il 10,1% dei consumi nazionali, mentre per il gas  11,5%. Se vince il Sì, raggiungendo il quorum, rinunciamo solo a quello che attingiamo entro le 12 miglia, ovvero l’1% di greggio e il 2% di gas naturale. Tra l’altro non regge la tesi della correlazione lineare tra la riduzione della produzione nazionale e l’aumento di importazione energetiche: nel 2010 la produzione gas nazionale ammontava 8.406 mln di mc, importazione circa 75 mln di mc, nel 2013, produzione gas nazionale 7735 mln mc, importazioni 61.966 mln mc, cioè man mano che si riduce produzione nazionale, si riduce anche la domanda di importazioni.
Oltre al fatto che non regge la tesi da parte dei detrattori del referendum dell’aumento del rischio, in caso di accoglimento referendario positivo, di incidenti delle navi petroliere. In realtà, il gas, visto che parliamo di questo, viaggia con i gasdotti e solo al 7% con le navi; anzi, solo nel caso di Tempa Rossa, il greggio che verrà estratto avrà un primo trattamento in loco, per poi essere movimentato e stoccato a Taranto e poi subire la raffinazione fuori con aumenti stimati del traffico navale di 90 unità annue nel solo golfo di Taranto, già sensibile a livello ambientale per varie ragioni.
Sulla questione occupati, di cui si è fatto un gran vociare citando fonti più disparante che vanno dalle 2500 unità del Comitato Vota No al no triv, fino agli oltre 130 mila posti, di cui 31 mila in Italia e 100 mila all’estero dell’ing. Eni, Salvatore Carollo. Fonte dell’Unione Petrolifera dati 2010 parlano di diretti e indotto 34 mila, comprensivi di lavoratori su terra ferma, entro e oltre le 12 miglia. Dal 2010 il settore ha subito una crisi già di suo, il Sole 24 Ore titolava qualche settimana fa perdita di 900 unità negli ultimi 6 mesi nel solo ravennate.
Il rischio di perdere il posto di lavoro nelle 12 miglia il 18 aprile non esiste, semmai questo avverrà in modo progressivo. Se dovesse vincere il Sì i posti di lavoro sarebbero tutelati perché dal giorno dopo si potrebbe intervenire con il Governo per trovare una tempestiva ricollocazione. Non è un fattore da sottovalutare, perché se vince il No e la norma concede che le concessioni rimangano sine die, non è da escludere che si possa incorrere in una procedura d’infrazione contro il nostro Paese per violazione della libera concorrenza. A quel punto chi tutelerà i lavoratori, che si troveranno davvero senza lavoro da un giorno all’altro? Per di più il lavoro petrolifero è altamente automatizzato e sono poche le persone che lavorano sulle piattaforme. Di contro, chi protegge il lavoro delle migliaia di pescatori che non sanno se pescano pesce o concentrati tossici?
L’Italia è un paese fragile. Trivellare significa modificare delicati equilibri naturali di cui poco o nulla sappiamo. Studi commissionati dagli stessi petrolieri nel revennate in tempi recenti confermano che la maggior parte della subsidenza è causata dalle estrazioni metanifere. La subsidenza è un fenomeno irreversibile: una volta che la terra si abbassa non si torna indietro ma si può solo rallentare. Chi dà il diritto ai petrolieri di lasciare questa eredità alle generazioni future?
Senza contare dei danni alle matrici marine. A Ragusa allo scadere della concessione Vega A,approvata nel 1984, hanno fatto richiesta per trivellare altri dodici pozzi nel quasi silenzio generale. Tuttavia dopo decenni si rileva che attorno alla piattaforma ci sono elevate concentrazioni di metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici, composti organici aromatici e MTBE (metil-t-butil etere) e che non è possibile il completo ripristino ambientale.
Pur rispettando l’opinione di tutti, votare è un diritto del cittadino, la partecipare democratica è importante e non è ammissibile un invito all’astensione.
Il PD di Montesilvano, invitando a votare Sì vuole cogliere l’occasione per lanciare un messaggio di un nuovo modello di sviluppo per il Paese, in difesa del nostro mare, del nostro turismo, della nostra salute e soprattutto per ripristinare l’interesse di tutti contro i vantaggi economici per pochi.

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