giovedì , 25 Aprile 2024

Anche l’Abruzzo nella Divina Commedia di Dante

Pescara. Nel 2021 ricorre il settimo secolo della morte del sommo poeta Dante Alighieri, all’anagrafe Durante Alighiero degli Alighieri nato a Firenze nel 1265 e morto a Ravenna nel 1321; sarebbe bello ricordare il padre della nostra lingua italiana limitando il ricorso delle espressioni in altre lingue, normalmente usate e/o abusate nel comune linguaggio che quotidianamente usiamo, almeno per questo anno in cui celebriamo il settimo secolo della sua scomparsa.
Ci riusciremo? Bella sfida vedremo come andrà a finire, Dante fu oltre che un linguista, teorico politico e filosofo, un personaggio che segnò il trionfo della lingua italiana (volgare) su quella latina, accessibile ai soli aristocratici e che pertanto escludeva i più dal contesto culturale, infatti egli espresse nel suo “De Vulgari Eloquentia” la naturalezza della lingua volgare poichè è la prima che apprendiamo alla nascita, mentre tutte le altre le apprendiamo per necessità.
Ma anche la nostra regione ha ispirato un’altra celeberrima opera di Dante “La Divina Commedia”: nel VI canto del Purgatorio un tal Sordello Da Goito, signore dei feudi di Civitaquana, Paglieta e Palena così ispira il Sommo Poeta:
“Ahi Italia di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta”.
Anche la nostra terra, quindi, ha un aggancio con il capolavoro letterario più importante della letteratura italiana di tutti i tempi.
Il 2021 segnerà sette secoli dalla morte di Dante Alighieri, considerato, con tutti gli onori, il padre della lingua italiana e che non ha bisogno di presentazioni, sicuramente incertezze e inquietudini allignano fra coloro che a giusta ragione vogliono celebrarlo, ma tante le perplessità che ipotizzano un nuovo confinamento collettivo; però ognuno di noi può omaggiare ugualmente Dante, cercando di limitare i vocaboli stranieri nel proprio abituale lessico, per dare di lui memoria devota e grata di ciò che fu il suo impegno letterario e che avrebbe, di fatto, effetti benefici anche sull’educazione dei giovani.
Un modo che in questi tempi di conformismo intellettuale e di provincialismo camuffato da termini non in lingua italiana, si potrebbe fare un piccolo sacrificio rinunciando ai vocaboli stranieri e non solo anglofoni, esprimendoci prettamente in lingua italiana.
Un piccolo omaggio a colui che tanto si è speso per il futuro delle generazioni di italiani dal Medioevo ai giorni nostri, quando non immaginava che da lì a venire la globalizzazione ci portava l’esigenza di sostituire la nostra lingua e i nostri vocaboli, di onorata radice latina, con quelli di altre lingue a prevalenza inglese.
Nell’anno di Dante, dunque, sarebbe il nostro più alto riconoscimento al Sommo Poeta per cui orsù impegniamoci tutti a non ricorrere a quei lemmi stranieri che infarciscono i nostri discorsi, ben consapevoli che la nostra è una lingua antica che oltre ad appartenerci ci onora, costruita dal popolo romano che secoli avanti Cristo, quando nel resto del mondo c’erano tribù di barbari, scriveva e stabiliva il diritto Romano che ha poi ha sancito l’intera cultura odierna con la civiltà dei giorni nostri.
Le parole straniere che quotidianamente vengono utilizzate per fare presa sui media sono vocaboli scavati il più delle volte dal vocabolario inglese, che aiutano a far presupporre conoscenze superiori che nobilitino i concetti esibiti ma che possono talvolta mascherare la vacuità di certi contenuti.
Parole desunte da una lingua che risulta indispensabile per il dialogo fra genti diverse, mettendole in relazione per scambi di vedute e offerte culturali importantissime, parole però che sovente vanno a sostituirsi a quelle nostrane anche quando quest’ultime sarebbero incomparabilmente più pertinenti e belle.
Tutto il mondo ce lo riconosce la bellezza della lingua italiana per la sua liricità e le allitterazioni quasi musicali, non si capisce perché si voglia imbastardire l’eloquio dolce e al contempo vibrante delle nostre terre con l’inserzione sempre più frequente e spesso incongrua del gergo inglese.
Almeno nell’anno dedicato a Dante (che la lingua italiana ha reso sacra) si potrebbero evitare gli ammiccamenti di lingua straniera e le scorciatoie linguistiche anglosassoni; che sono alla fine espedienti popolari per nascondere la pigrizia di chi neppure più si sforza di cercare il vocabolo italiano appropriato.
E intanto la nostra lingua impercettibilmente declina, pervasa dai troppi lockdown, smart working, fake news e chi più ne sa più ne metta…
A questi pensieri non è sottesa un’aspirazione autarchica, bensì il desiderio d’avvalorare, soprattutto nei giovani, la consapevolezza della nobiltà d’una lingua (la nostra) universalmente riconosciuta come una delle più belle e antiche del mondo: Dante se lo merita e, da lassù sorride e ringrazia.

Nella foto: opera d’arte dell’artista Maria Basile

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