venerdì , 19 Aprile 2024

Grande Pescara: il PD di Montesilvano traccia in un documento la sua idea di città lineare metropolitana

Montesilvano – Il dibattito sulla grande Pescara si infittisce di nuovi elementi, da una parte il comitato promotore del sì che spinge per l’attuazione immediata dell’esito referendario, dall’altra il Sindaco di Spoltore che la settimana scorsa è andato dal Prefetto Francesco Provolo per esprimere le sue perplessità e parla di “’ennesimo pasticcio amministrativo”.
Intanto si attendono le mosse del governatore D’Alfonso che nella giornata di lunedì scorso in un incontro con diversi dirigenti ed esperti del settore  parla di proposta «definitivamente funzionante e coerente» con le esigenze referendarie.
Anche il PD di Montesilvano, dopo alcune direzioni sul tema, ha licenziato nel direttivo di ieri un documento politico che nel recepire la volontà popolare traccia la strada “Verso la città lineare metropolitana – L’Unione dei servizi quale strada propedeutica alla fusione dei comuni”.
Domani il consiglio comunale di Montesilvano affronterà un punto ad hoc sul tema “La Grande Pescara” come si legge nell’ordine del giorno di convocazione.

“Il documento – spiega la segretaria cittadina PD Romina Di Costanzo – costituisce la proposta del partito a livello locale, che, nell’accogliere l’esito referendario punta ad avviare un percorso di integrazione tra le città di Montesilvano e Pescara finalizzata all’unificazione degli strumenti di pianificazione e apra la strada ad una cooperazione progressiva tra le due città adriatiche, nella volontà di ottimizzare l’esercizio delle funzioni e l’erogazione dei servizi di competenza, promuovendo tra i consigli comunali un’ipotesi di unione su contratto di servizi”.

 

Di seguito pubblichiamo  il documento politico del partito riportato in forma integrale

 

“Posto che l’esito referendario consultivo del 25 maggio non può rimanere inascoltato, in quanto sebbene non costituisca una rappresentatività equilibrata ed omogenea dell’elettorato delle tre città coinvolte – vuoi per la mancanza di un quorum costitutivo per la validità e la mancata previsione di una formale espressione di volontà dei Comuni interessati, vuoi per le diverse dimensioni e per le modalità con le quali è stato concepito ed attuato, non motivando un’ampia partecipazione cittadina se non in concomitanza con l’election day, – è indubbio che apre la strada ad un ragionamento di carattere politico che da esso non può necessariamente prescindere.

L’istituto della fusione in Italia è stato utilizzato, dal 1990 al 2012, come strumento utile per replicare all’inadeguatezza dei Comuni più piccoli. In tale contesto, il progetto referendario in questione rappresenta un unicum in regione Abruzzo interessando Comuni più grandi, con un ammontare complessivo di un bacino di popolazione di circa 194.249 (dati Istat 2015), in cui il peso ponderale delle tre città è fortemente squilibrato, costituendo la popolazione pescarese il 62% del totale, a fronte del 27% di quella di Montesilvano e al di sotto del 10% quella di Spoltore.

Com’è noto, l’art. 133, comma 2, della Costituzione attribuisce alla potestà legislativa della Regione la possibilità di istituire nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni, dopo aver sentito le popolazioni interessate. L’art. 15, comma 1, del d.lgs. 267/2000 (testo unico degli enti locali) precisa che la procedura da seguire per addivenire ad una legge regionale di fusione è rimessa ad una legge regionale generale ad hoc.

La potestà legislativa regionale, qualificata come esclusiva, deve in ogni caso rispettare i principi stabiliti negli artt. 15 e 16 del d.lgs. 267/2000. In attuazione delle suddette norme, dunque, ciascuna Regione predispone una disciplina generale sul procedimento legislativo di fusione, nel rispetto della quale deve essere adottata ogni singola legge regionale istitutiva di un nuovo Comune; la quale, proprio perché dispone direttamente in merito a specifiche situazioni, viene qualificata come legge-provvedimento. L’obbligatorietà, tuttavia, riguarda solo l’espletamento del referendum, mentre la natura vincolante o meno dei relativi esiti è rimessa all’autonomia del legislatore regionale.

Ciononostante, volendo ripartire dalla valenza politica del referendum dal quale emerge la ricusazione della classe dirigente di fronte ad una evidente carenza di servizi al cittadino, è necessario andare oltre l’elemento populistico molto in voga di diminuzione degli organi politici e tecnici in nome della razionalizzazione e semplificazione della geografia amministrativa, ricordando, tra l’altro, che ogni settore delle pubbliche amministrazioni è in carenza di personale.

A fronte di queste considerazioni, il Partito Democratico di Montesilvano, nell’ascoltare questo importante segnale di volontà popolare, vuole aprire la strada ad una cooperazione progressiva tra le città di Montesilvano e Pescara, nella volontà di ottimizzare l’esercizio delle funzioni e l’erogazione dei servizi di competenza, promuovendo tra i consigli comunali un’ipotesi di unione su contratto di servizi.

D’altronde la giovane storia della nostra città e la particolare e similare conformazione ben si presta ad un ragionamento di grande città lineare metropolitana della costa adriatica, condividendo le due città molti aspetti, dalla medesima vocazione turistico-balneare all’esigenza di riqualificazione delle periferie.

In questa ottica sarebbe funzionale alle due città avviare un percorso di integrazione e collaborazione graduale che punti all’unificazione degli strumenti di pianificazione. Questo a cominciare dalla pianificazione urbanistica unica, in cui la funzionalità degli spazi sia messa a sistema tra le due città in maniera biunivoca in modo da evitare inutili doppioni o nuovi insediamenti urbani e privilegiare la riqualificazione dei milioni di metri cubi a disposizione di ciascuna.

Un piano spiaggia unico che anziché valutare inutili aumenti di volumetrie per il pernottamento sul mare valorizzi il potenziale ricettivo del polo alberghiero montesilvanese.

Un piano della mobilità sostenibile unico, che valuti la pedonalizzazione della riviera e non connoti il nuovo mezzo di collegamento sulla strada parco come vettore che dal centro porti alla periferia. E’ necessario che prevalga l’idea di una città metropolitana non di stampo pescarocentrico che accentri su di sé tutte le funzioni di pregio e releghi i territori limitrofi a funzioni di puro serbatoio di utenti, di consumatori, di residenze, di lavoratori, in poche parole a proprie periferie ma che veda allocati i servizi in maniera funzionale alle diverse vocazioni – in cui, per esempio, Stella Maris e il Palacongressi siano risorse per tutta l’area, declinando una ricettività di interscambio -.

Una gestione dei rifiuti unica che superi il paradosso della frammentarietà dei servizi di gestione nell’attesa della nuova governance del ciclo integrato dei rifiuti urbani, previsto con l’istituzione di una Autorità per la Gestione Integrata dei Rifiuti urbani, promuovendo l’affidamento alla più efficiente Attiva della gestione della filiera dei rifiuti di tutto l’ambito.

Un piano di marketing turistico unico, su modello della riviera romagnola pur conservando le specificità dei singoli luoghi bensì connettendoli in sinergia tra loro. Un corpo unico di polizia municipale locale moderno e mobile con comuni politiche per la sicurezza ed una condivisa strategia di presidio del territorio, in considerazione della natura trasversale e omogenea del servizio di polizia.

Pertanto ci auguriamo che il Governatore D’Alfonso, voglia avviare uno studio di fattibilità quale strumento conoscitivo di cui possono fruire gli enti locali per compiere propedeutiche valutazioni a supporto di successive scelte politiche di tipo associativo o relative all’ampliamento dell’ambito di operatività. Questo consentirà agli enti locali interessati di raccogliere preventivamente gli elementi utili in base ai quali richiedere, semmai, alla Giunta regionale di attivare il procedimento legislativo per la fusione.

Del resto, originariamente con la legge 142/1990 era previsto che l’unione fosse propedeutica alla successiva fusione da compiersi nei dieci anni successivi alla costituzione della stessa. Tale obbligo non è più presente nel testo unico degli enti locali e lo sviluppo delle Unioni di Comuni è stato tale da riconoscere loro piena autonomia, ma è indubitabile che la fusione ben può rappresentare la spontanea evoluzione di un’esperienza in una forma associativa nella quale si siano già svolte congiuntamente una pluralità di funzioni per arrivare all’ottimizzazione delle risorse pubbliche e aprire la strada all’ efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa”.

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