mercoledì , 24 Aprile 2024
Da sx Di Vincenzo, Di Bonaventura, Francabandera, Parruti, Bozza

Sub Tutela Dei, a Pescara Csv Abruzzo Ets ricorda il giudice Rosario Livatino

In collegamento dal carcere di Sulmona uno dei killer del giudice

Pescara – «La rabbia che era in me è sparita come neve al sole, per questo ho accettato di partecipare a questo evento. Sono stato arrestato che non avevo nemmeno 23 anni, oggi ne ho quasi 57 e sono un uomo diverso, mi sono spogliato del passato, mi auguro di poter sperare nella libertà». Sono le parole di Domenico Pace, uno dei killer del giudice Livatino, che questa sera (12 aprile), in collegamento dalla casa di reclusione di Sulmona, dove sta scontando una pena all’ergastolo, ha portato la sua testimonianza. Pace ha ripercorso in una lunga dichiarazione, la sua vita prima dell’agguato al magistrato e poi il pentimento, senza sconti di sorta. Un pentimento sincero e una conversione che ha pesato anche nella causa di beatificazione del giudice Rosario Livatino

Nella sala D’Annunzio dell’Aurum è calato un silenzio carico di commozione.

È iniziata con un incontro profondo, dunque, la mostra regionale Sub Tutela Dei, l’uomo, il giudice, l’esempio che il Csv Abruzzo Ets dedica al magistrato, ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990 e beatificato dalla Chiesa il 9 maggio 2021. 

L’allestimento è promosso da: Libera associazione forense, Centro studi Rosario Livatino, Centro culturale Il Sentiero ed è stato ospitato al Meeting di Rimini la scorsa estate.

All’incontro hanno partecipato Fabrizia Ida Francabandera, presidente della Corte di Appello dell’Aquila; Angelo Mariano Bozza, presidente del Tribunale di Pescara; Maria Rosaria Parruti, presidente del Tribunale di sorveglianza dell’Aquila; Casto Di Bonaventura, presidente del Csv Abruzzo Ets; Carlo Torti e Roberta Masotto, curatori della mostra; Lorenzo Di Flamminio, coordinatore area Formazione Csv Abruzzo Ets.

Presenti anche il sindaco di Pescara, Carlo Masci; l’assessore comunale alla Cultura, Maria Rita Carota; il presidente del tribunale ecclesiastico, don Mariano Buzzelli; il presidente dei giuristi cattolici di Pescara, Francesco Grilli; il presidente vicario OTC Ambito 9, Nicola Mattoscio; e per l’ufficio scolastico regionale, Daniela Puglisi.

«Abbiamo circa 800 studenti che si sono prenotati per visitare la mostra qui a Pescara, grazie al grande lavoro che da anni portiamo avanti con le scuole nel progetto Io, tu, volontari», ha spiegato Casto Di Bonaventura, dando poi la parola alla presidente Francabandera che ha sottolineato: «la beatificazione ha riproposto al centro dell’attenzione la figura di Livatino. Noi magistrati abbiamo tante vittime, ma è bene non accomunarle. Il magistrato siciliano emerge per la sua normalità. Eccezionale e normale al tempo stesso, che non si sentiva nemmeno tanto in pericolo. Non si avverte, nei suoi diari, anche nei giorni precedenti il suo assassinio nessun timore. Certo, la sua eccezionalità è la fede».

«Un magistrato che ha avuto la grande capacità di affrontare un lavoro duro nella ricerca della verità, senza avere ancora gli strumenti che poi sono stati forniti ai giudici nella lotta contro la mafia», ha aggiunto Angelo Mariano Bozza, mentre Maria Rosaria Parruti ha puntato lo sguardo sull’uomo Livatino: «sull’unità tra l’amore per i suoi genitori, la vita quotidiana e il suo lavoro, una unità che lo porta all’attenzione del particolare. Sia che stia indagando su un criminale incallito, sia che debba accompagnare i genitori a riscuotere la pensione, lui ha sempre lo stesso rigore».

La mostra prevede un percorso diviso in quattro sezioni con testi, immagini, video e un audio che rievoca l’agguato e che introduce al percorso.

Una parte importante è dedicata al testimone Piero Nava, direttore commerciale lombardo, che il 21 settembre 1990 si trovava in Sicilia per un viaggio di lavoro. Assistette, dallo specchietto retrovisore della sua auto,  all’attentato che portò all’esecuzione del magistrato Livatino da parte dei mafiosi. Fu lui ad avvisare le forze dell’ordine e riferì quanto aveva visto. In un periodo in cui non esistevano disposizioni sui collaboratori di giustizia, Nava, cittadino onesto e testimone, non pentito, ha visto la propria esistenza stravolta. Ha perso il lavoro ed è ancora oggi costretto a nascondersi con tutta la sua famiglia, cambiando spesso città e generalità. «Quel giorno», ha detto Nava, «Livatino è morto ma io sono scomparso».

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