giovedì , 18 Aprile 2024

Assergi e la Regina D’Ungheria (tra Storia e leggenda)

Scacciata insieme ai suoi figli dal castello che l’aveva vista sposa felice, privata della sua regalità terrena, essa si rivestì di un’altra immarcescibile regalità, quella del Cristo crocefisso, e lo fece abbracciando la spiritualità di San Francesco d’Assisi (1181/82-1226), divenendo terziaria, entrando cioè a far parte di quell’ordine francescano secolare che il genio del fondatore aveva previsto per tutti coloro che, pur rimanendo nel mondo e non facendo alcuna particolare professione religiosa, avessero voluto adottare nel loro cammino di perfezione cristiana lo stile del Poverello d’Assisi, formando così un’avanguardia cosciente di quell’immenso esercito senza armi che attraverso i secoli ha costituito la spina dorsale del cattolicesimo popolare. Da uno di quei Frati Minori che già dal 1222 si erano diffusi in Turingia essa aveva appreso la vicenda di quel giovane figlio di un ricco mercante che aveva sposato “Madonna Povertà” e di quella nobile fanciulla, Chiara d’Assisi (1194-1253), che aveva radunato attorno a sé tante ragazze assetate di assoluto, ciò da cui la vocazione alla santità di Elisabetta aveva ricevuto ulteriore conferma e più forte entusiasmo.

Peregrinando attraverso i villaggi della sua terra in compagnia delle sue fide ancelle diventate ormai amiche e compagne d’avventura, e dopo aver ricoverato i suoi bambini in casa di amici del marito, Elisabetta, dimentica di essere stata una regina, prese a lavorare dovunque venisse accolta, assistendo i malati e tutto sopportando con grande pazienza e immensa fede. Essendo stata poi stata riabilitata per iniziativa di alcuni parenti che consideravano illegittimo il governo di suo cognato, le fecero ottenere un reddito col quale fu in grado di ritirarsi a Marburgo, nel castello di famiglia, dove abitava anche il suo direttore spirituale, il frate minore padre Corrado, e dove il venerdì santo del 1228, quando aveva solo 21 anni di età ma già molta esperienza di vita alle spalle, alla presenza di alcuni frati e familiari, fece atto di rinuncia “alla propria volontà e a tutte le vanità del mondo”, come si legge in una lettera spedita da padre Corrado a Gregorio IX, il papa che nel 1235, a pochi anni dalla sua morte, l’avrebbe elevata agli onori degli altari.

Elisabetta trascorse gli ultimi tre anni della sua vita a Marburgo, nell’ospedale da lei fondato, di cui fu direttrice e ultima tra le infermiere, animatrice carismatica e infaticabile inserviente, svolgendo i servizi più umili e curando i malati più ripugnanti alla vista, quelli che nessuna infermiera aveva il coraggio di assistere e nei quali essa vedeva il volto di Gesù sofferente. Nel novembre del 1231, colpita da forti febbri, dopo una decina di giorni di malattia, chiese di poter rimanere da sola con Dio, e nella notte del 17 novembre si addormentò dolcemente nel Signore. Sembra una bella favola, e invece è un pezzo di storia vera di quel medioevo dalle forti tinte, sanguigno e luminoso a un tempo.
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