martedì , 19 Marzo 2024
1945 i Partigiani della Brigata Maiella liberano Bologna

Bella ciao, scoperte le origini abruzzesi della canzone inno della Resistenza

di Giovanni Damiani

Pescara – Uno studio rivede completamente ciò che si riteneva di sapere su questa canzone. E’ di Cesare Bermani (83 anni di Novara, autore di una quantità impressionante di studi e libri) che lo pubblica in questi giorni su un libricino* “per farci perdonare”, tiene a dire, “gli errori commessi nei primi anni di ricerca sul campo assieme a Roberto Leydi e Gianni Bosio” . L’errore più grande e l’avere raccolto testimonianze nel Nord del Paese “trascurando colpevolmente il Centro e il Sud”.

Si è così dato per scontato per anni che Bella Ciao fosse nata come canto delle mondine nelle risaie e che MAI FOSSE STATA ADOTTATA DAI PARTIGIANI per cui si sarebbe diffusa come canto della resistenza successivamente alla liberazione. Lo studio attuale ha preso origine da una lettera di IVAN PROSERPI, partigiano della Brigata Maiella, inviata al Corriere della Sera nel giugno del 1996.
Documentava come Bella Ciao era cantata dai partigiani abruzzesi fin dal 1944, mentre risalivano la penisola fino al Veneto combattendo i nazifascisti alla testa dell’VIII armata britannica-polacca. Per loro (la formazione annoverava 1500 persone) era un vero e proprio inno, cantato durante le lunghe marce di traferimento, con un testo leggermente diverso da quello attuale e con qualche sgrammaticatura in un punto. Chi lo ascoltò per la prima volta a Bologna (ove la Brigata entrò per prima a liberarla) conferma di averla appresa e di esserne rimasto colpito in quella circostanza, così come altre testimonianze in varie parti d’Italia.

Nel nord Bella Ciao era sconosciuta e i partigiani avevano adottato “Fischia il Vento”, mutuato dalla sovietica “Katiuscia”, canzone d’amore rimaneggiata. Anche Bella Ciao ha origine da una antica canzone d’amore : “Fior di Tomba”, una ballata in cui una giovane desidera di morire abbracciata al suo amore non praticabile, ed essere sepolta insieme in una unica tomba. Poserpi chiarisce che Bella Ciao era già arrivata al Nord attraverso donne abruzzesi che emigravano come stagionali per la mondatura del riso nel vercellese e così fu appresa dalle mondine che ne cambiarono il testo come canto del lavoro.
Da qui la convinzione che fosse un canto delle mondine, riportato sui palchi e in incisioni dalla grande Giovanna Marini. Ho avuto il privilegio di conoscere Ivan Poserpi, attraverso la mia amica Edvige Ricci; abbiamo avuto numerosi incontri anche a casa sua a Casoli (CH) e siamo stati insieme in manifestazioni ecologiste (argomento su cui aveva una sensibilità straordinaria) come quella (vinta) per evitare un terzo inutile e dannoso traforo nel massiccio del Gran Sasso d’Italia; mai però ci ha parlato di “Bella Ciao”, forse perchè con la sua memoria straordinaria, era troppo impegnato a descriverci come erano cambiati con uno sviluppo distorto i luoghi in cui aveva operato e combattuto per la libertà, conoscendo i nomi degli alberi e degli uccelli.

La nuova resistenza oggi, diceva, è quella della difesa della natura: è l’ecologia. Ivan ha scritto un romanzo storico “Montegrande” in cui con lo pseudonimo Andrea Di Silio, patriota (così si definivano), racconta la storia da lui vissuta nella Brigata Maiella. Ne uscì un testo di quasi mille pagine che fu costretto a dimezzare per renderlo pubblicabile.
Il libro fu presentato a Chieti con Arrigo Boldrini.

Bella Ciao è oggi cantata in 40 lingue in tutto il mondo, dalle combattenti di Kobane contro l’ISIS agli studenti cinesi, in Turchia, in Cile, in Grecia, in Spagna, in Francia, in Germania, in Olanda, in tutto il sud America (soprattutto in Argentina), negli Stati Uniti. Il 15 maggio 2016 è stata suonata da 350 musicisti a Parigi in una piazza di oltre 100 mila persone. E’ adottata dal movimento mondiale per il Clima con le parole “We need to wake up, we need to wise up”. E’ oramai inno ovunque si lotti per la libertà, per l’eguaglianza, per la democrazia, per l’ambiente. Grazie a Bermani per l’impegno e per aver svolto uno studio così profondo e rigoroso (persino autocritico) che ristabilisce una verità storica.

* edito da “Interlinea”, in Novara

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